LA CORRUZIONE ED IL LIVELLO DEL SERVIZIO:
SPUNTI DI DISCUSSIONE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PROFESSIONE DI AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
Editoriale a cura del Geom. Gian Luca Samoggia *
Alcuni mesi or sono, in un articolo de Il Sole24Ore, Guido Rossi manifestava l’esistenza di una diffusa sensazione che la corruzione abbia permeato tutta la vita politica, economica e sociale del nostro Paese, in modi persino più gravi di tutti quelli finora conosciuti. Secondo Rossi, tale problema “sembra avere due cause evidenti. La prima è che essa sia una conseguenza del declino dell’ordine e delle istituzioni politiche italiane; la seconda è che costituisca un sintomo del regime economico non solo italiano, ma europeo che condiziona dagli anni 80 del secolo scorso le nostre società. In esse, infatti, i mercati rappresentano il valore di riferimento e il denaro la misura di tutte le cose”.
In un contesto così pervasivo, potrebbe apparire velleitario il nostro desiderio di aprire un dibattito che possa approfondire ed analizzare, dall’interno della comunità degli amministratori, i motivi della presenza della corruzione nel nostro settore, le sue caratteristiche e la sua ragione.
Per farlo è necessario come prima cosa definire in modo preciso quali siano le forme di corruzione dell’amministratore condominiale.
Le descrive molto bene la Norma UNI 10801 (creata e fortemente voluta nel 1988 da Giuseppe Sangiorgi, Presidente Nazionale ANAI e figura fondamentale per la nostra storia professionale) che è diventata obbligatoria nel 2013 con la promulgazione della L.4/13.
L’art.6, comma 2, della L.4/13 recita: “La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI, di seguito denominate «normativa tecnica UNI», di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010”.
E inoltre il successivo comma 3 riporta: “I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell’attività e le modalità di comunicazione verso l’utente individuate dalla normativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disciplinano l’esercizio autoregolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione”.
Nella UNI 10801 vengono quindi chiaramente delineati i limiti del corretto operare dell’amministratore:
all’art. 4 si stabilisce che “nell’esercizio delle sue funzioni, l’amministratore dovrà dedicarsi all’esecuzione del mandato con l’intento primario di preservare il bene amministrato e gli interessi ad esso connessi”;
all’art. 5 che “ l’amministratore condominiale e immobiliare dovrà […] escludere ogni interesse personale privato e/o societario, del proprio personale di studio e dei propri familiari, dai rapporti nascenti dal mandato di amministratore verso professionisti, imprese, fornitori di servizi e/o mezzi di qualsiasi natura e specie nello spirito del suo mandato fiduciario e anche al fine di garantire la necessaria trasparenza”;
all’art. 6 che: “Nella gestione del patrimonio altrui, l’amministratore immobiliare non dovrà:
a) commerciare a fini di lucro, anche saltuariamente, immobili compresi nel pacchetto delle gestioni amministrative a lui affidate;
b) essere partecipe, anche se in maniera occulta, ad imprese, società, organismi commerciali, artigianali e/o industriali fornitori dell’immobile in amministrazione;
c) ricevere a qualsiasi titolo e in qualsiasi forma compensi, provvigioni e/o regalie per forniture all’immobile dallo stesso amministrato”.
Tali attività infatti contrastano con il bene del condominio, generando un evidente conflitto d’interessi tra le ragioni del condominio e le ragioni del fornitore di beni o di servizi.
Alla luce dei valori economici che vedremo più avanti, la violazione di tali norme di comportamento contrasta con la funzione stessa dell’amministratore del bene immobile, che sarà portato a favorire le necessità del fornitore in cambio del riconoscimento economico del suo impegno.
Viene quindi meno la ragione stessa dell’esistenza della professione, cessando la funzione di tutela degli interessi del condominio, che volge verso una mera attività di procacciamento d’affari, senza alcun riguardo alle ragioni originali di rappresentanza previste dal codice.
Ciò premesso corre l’obbligo, innanzitutto, di condividere una considerazione, che vale tanto per gli amministratori di condominio, quanto per gli amministratori di società che per gli amministratori pubblici: non è vero che tutti gli amministratori siano corrotti.
Innumerevoli ricerche pongono ormai da anni il nostro paese tra quelli in cui, a livello europeo, la corruzione è più diffusa, ma non credo si possa affermare che la maggioranza degli italiani sia corrotta, anche se non è detto che non lo sia la maggioranza degli amministratori di condominio.
Penso però che esista una parte di noi che non si sia mai piegata alla sola e pura logica del profitto e riesca ancora a svolgere con la massima dignità il proprio lavoro.
E’ una premessa indispensabile per cercare di individuare utili argomentazioni all’interno del dibattito, in modo da far emergere prospettive concrete per chi è convinto che la corruzione si debba combattere.
Sulla necessità e sui perché la corruzione debba essere contrastata, non è il caso di dilungarsi: fiumi d’inchiostro sono stati spesi per spiegare quali conseguenze nefaste e quali i danni a lungo termine determini la corruzione in qualsiasi ambito sociale, qualora la stessa società non si sia in grado di porvi rimedio. Ampie aree del nostro Meridione ne sono emblematica testimonianza.
Dovrebbe, invece, essere prioritario cercare di dare una valutazione quantitativa al fenomeno, giacché non abbiamo oggi idea delle somme di denaro che genera la nostra corruzione.
I dati non sono disponibili per il settore. Non è mai stata eseguita nell’intera Europa alcuna specifica ricerca al riguardo, né ovviamente in Italia, anche se il condominio genera una parte apprezzabile del PIL Nazionale (1,1% secondo le stime del 2° rapporto CENSIS Anaci pubblicato nel 2006 su dati Istat 2004).
Questa constatazione ci permette di individuare un primo spunto di riflessione, ovvero se non sia il caso che proprio le associazioni di amministratori debbano prontamente attivarsi per finanziare tale genere di ricerche, posto che il socratico “conosci te stesso” è certamente il primo passo per entrare nella propria anima e così immaginare il proprio futuro.
Un’analisi approssimativa dell’entità del fenomeno può essere compiuta attraverso l’elaborazione di alcuni dati territoriali.
Ad esempio, se valutiamo in circa 185 milioni di metri cubi il consumo annuale di gas per il riscaldamento dei condomini nel Comune di Bologna, (PAES Bologna 2012 su fonte Hera Distribuzione consumi 2009) sappiamo che solo 17 milioni circa, pari ad una quota del 9,2%, (dati fatturazione in convenzione Unacond anno 2009) sono stati acquistati sul mercato libero a condizioni certamente concorrenziali con l’offerta pubblica più diffusa.
Questo non significa per nulla che il restante 90,8% di gas sia stato acquistato in regime di corruzione, ma certamente significa che il 90,8% del gas non è stato acquistato alle migliori condizioni possibili offerte dal mercato.
Sappiamo inoltre con certezza che quel 9,2% di gas è stato acquistato alle migliori condizioni di mercato e senza alcun pagamento di tangenti o provvigioni. Si tratta infatti di un quantitativo di gas trattato direttamente da ANACI e per le quali le condizioni di fornitura sono note.
Se utilizzassimo queste percentuali per individuare quanti amministratori potrebbero essere coinvolti, otterremmo i seguenti risultati.
Il numero degli amministratori di condominio di Bologna è di circa 250, il 9,2% è pari a 23 amministratori.
Potremmo affermare così, statisticamente, che solo 23 amministratori di condominio di Bologna non sono corrotti ? Certamente no.
Gli amministratori non corrotti saranno certamente molti di più. Ma almeno 23 (certamente per l’acquisto del gas nel 2009) sicuramente non sono stati corrotti.
I numeri naturalmente devono essere manipolati in modo corretto e non è da un semplice esercizio logico che possiamo quantificare seriamente un fenomeno così complesso. Essere corrotti, infatti, dipende da tanti fattori, spesso contingenti e che a volte addirittura possono apparire moralmente giustificabili.
In primo luogo è il livello molto basso dei compensi accettati dall’amministratore, che può quasi costringere alla pratica corruttiva, poiché il nostro settore è soggetto a una pressione concorrenziale senza eguali.
Può essere utile al dibattito individuarne i motivi.
Già il 1° rapporto CENSIS Anaci pubblicato nel 2004, utilizzando dati di
un sondaggio tra i dirigenti locali Anaci (114 rilevazioni sull’intero territorio nazionale), ha evidenziato che il compenso medio dell’amministratore professionista per unità immobiliare, varia in modo inverso rispetto alla concorrenza presente nell’ambito territoriale del mercato di riferimento. I compensi diminuiscono fino al 30% in funzione del numero di amministratori presenti nel territorio, con i compensi più elevati in Sardegna (dove gli amministratori sono pochi) rispetto a Sicilia, Lazio, Lombardia, Piemonte e Liguria (dove la “densità” di amministratori è più elevata).
L’influenza della concorrenza sul livello dei compensi è però comune a molte altre professioni; è invece una caratteristica peculiare del mercato degli amministratori, la coesistenza di studi professionali che presentano un’articolazione organizzativa eterogenea.
Per una valutazione quantitativa, è possibile utilizzare i dati della città di Bologna, che ha circa 20.500 edifici ad uso abitativo (Archivio Istat – Comune di Bologna – Censimento 2001 – elaborazione Settore Programmazione Controlli e Statistica del Comune di Bologna richiamati in Paes Bologna 2012) dei quali circa 10.500 sono condominii, amministrati da 1.400 amministratori.
Tra questi solo 200 hanno in gestione più di 25 condomini, mentre gli altri 1200 ne amministrano un numero variabile a 1 a 7.
Coesistono così alcune strutture che amministrano più 250 condominii utilizzando oltre 20 dipendenti, insieme a tantissime altre che amministrano un numero esiguo di condominii probabilmente direttamente da casa propria.
Troppa concorrenza tra soggetti strutturati in modo molto diverso, genera una pressione eccessiva sulla determinazione dei prezzi, che può portare ad accettare compensi troppo bassi, tali da non garantire neppure la copertura dei costi vivi delle strutture più grandi.
E ciò è evidente confrontando i costi delle diverse organizzazioni che, anche nell’ambito dello stesso territorio, sono molto variabili, con un divario tra valori minimi e massimi molto più ampio rispetto a tutte le altre professioni: nella città di Bologna nell’anno 2013 si è rilevata una differenza di oltre 250 euro, con minimi a 40,00 euro (molti grandi operatori) e massimi a 290,00 euro (una decina di studi di medie dimensioni e di alto target).
Tale variazione nei compensi, comunemente è giustificata obiettando che l’incremento dimensionale delle strutture di gestione degli immobili in condominio consente importanti economie di scala, tali da ridurre in modo significativo il costo medio per unità immobiliare all’aumentare del numero di unità immobiliari gestite.
Sarebbe cioè la forza regolatrice del mercato a ridurre i prezzi in modo virtuoso, espellendo gli operatori con prezzi troppo elevati, agevolando quindi le unioni tra gli operatori più efficienti ed economici, selezionati così naturalmente come il miglior prodotto per il consumatore.
Questo innalzamento qualitativo, però, non si è mai verificato, e la concorrenza ha di fatto espulso solo gli operatori più corretti, che, senza ricorrere al rilevante aiuto economico proveniente dall’accettazione di pratiche corruttive o semplicemente omissive dei requisiti minimi del servizio, si sono dovuti confrontare con un numero crescente di soggetti che potevano operare a costi molto bassi, spesso talmente bassi da andare al di sotto dei costi puri, alterando così in modo irrimediabile il mercato.
Il meccanismo è purtroppo assai noto e caratterizza gli ambiti economici a forte infiltrazione mafiosa; nel nostro caso, però, si tratta solo del risultato della storica ignavia del legislatore, responsabile di non aver emanato per troppo tempo la benché minima norma, lasciando troppo a lungo abbandonato a se stesso il mercato italiano della gestione condominiale.
In tal modo si è creata una situazione in cui molti operatori e, soprattutto, i consumatori, non hanno consapevolezza di quali siano i livelli minimi di prestazione richiesti per il settore.
E’ inoltre necessario tenere presente che l’azione positiva del mercato sui migliori operatori (favorendo i raggruppamenti e le tanto auspicate economie di scala) è possibile solo nel caso in cui la concorrenza sleale di ampie fasce di operatori sia adeguatamente controllata e repressa, in modo da impedire ripercussioni negative sulla corretta attività di gestione immobiliare.
In questo grave equivoco è caduta in passato anche l’Autorità Nazionale per la Concorrenza e per il Mercato, in occasione del proprio intervento (1995) contro il nostro tariffario nazionale, ipotizzando una grave restrizione della concorrenza.
Si volle coscientemente ignorare che, in presenza un mercato irregolare diffuso e senza precise disposizioni normative riguardo al corretto espletamento del servizio (almeno fino alla L.220/12), i tariffari di riferimento per l’utenza rappresentano l’unico, seppur imperfetto, punto di riferimento per regolare positivamente il mercato.
I tariffari professionali di categoria, infatti, se seriamente redatti, tengono conto dei livelli minimi del servizio da erogare, e rappresentano un livello standard di prestazione sotto al quale il servizio è erogato in modo insufficiente.
Infatti, è oggi chiaro che la cancellazione del nostro tariffario, voluta dall’Autorità Antistrust allo scopo di affidare al mercato il miglioramento della nostra categoria, non ha ottenuto i risultati sperati, com’era del resto prevedibile.
Ecco perché contro le migliori intenzioni, il mercato dell’amministratore di condominio è, di fatto, un mercato “selvaggio” dove la concorrenza sleale condiziona pesantemente sia il prezzo sia il livello di erogazione del servizio.
E questo non accade nella maggior parte delle altre professioni, perché solo nel settore degli amministratori di condominii, la cui attività principale è la gestione ingenti somme di denaro per conto della propria clientela, si rileva un’elevata disomogeneità tra gli operatori, con la coesistenza di grandi strutture che concorrono sul prezzo con micro strutture, di fatto dopolavoristiche.
Successiva riprova ce la fornisce ancora il 1° rapporto CENSIS Anaci, con l’analisi del mercato immobiliare in Francia, dove i compensi sono mediamente più alti del triplo, e non esistono strutture dopolavoristiche dedicate alla professione, perché non consentite per legge.
Una ricerca analitica condotta annualmente da Anaci Bologna tra il 2004 e il 2009 tra i soli professionisti della città di Bologna indicava, nel 2009, in 110,00 Euro il compenso medio annuale per ogni unità immobiliare.
Tale somma, comprensiva di IVA, imposte e costi aziendali, poneva in non più di 25,00 Euro l’utile netto per ogni unità.
Questa cifra è ancora oggi particolarmente indicativa.
Il numero medio di unità immobiliari gestite da un amministratore di condominio è di 900 ( ricerca Anaci Bologna 2004/2009); ciò significa che l’utile netto complessivo medio per ogni amministratore, si badi bene, professionista, sia stato rilevato pari a 22.500,00 Euro all’anno nel 2009, pari a circa 1.875,00 al mese netti.
E’ un valore sorprendentemente basso alla luce dell’impegno temporale e di responsabilità che il nostro lavoro comporta, ma rispecchia in modo corretto la realtà ed è ancora valido oggi.
Nel settore dell’amministrazione condominiale inoltre convivono strutture così diverse perché non è mai esistito uno standard minimo delle prestazioni da erogare, riconosciuto per legge.
Sarebbe come se, nel settore della progettazione degli edifici, non esistessero criteri legali per dimensionare una trave o calcolare un pilastro, ma ogni progettista potesse regolarsi come crede: alcuni professionisti, seguendo l’esperienza e i pronunciamenti giurisprudenziali, cercherebbero certamente di seguire le norme di buona tecnica, ma molti altri, non essendo obbligati, seguirebbero certamente scorciatoie e semplificazioni, magari approfondendo meno i fattori coinvolti nel calcolo non trattandosi di requisiti obbligatori.
Con probabile conseguenza le case crollerebbero spesso e ciò parrebbe addirittura normale, data la proliferazione di ingegneri fai da te, senza alcun requisito, né controllo.
Analogamente si è sviluppato fino ad oggi il settore dell’amministrazione di condominii.
Nessun parametro legale minimo è mai stato richiesto nella tenuta della contabilità o nei controlli di sicurezza sui fornitori, nella conservazione della documentazione, nella trasparenza dei movimenti di denaro o nelle regole di rapporto con i fornitori.
In tale situazione sono avvantaggiati i soggetti che non hanno le caratteristiche del professionista semanticamente inteso: operatori che si sono spesso limitati a svolgere compiti di mera esecuzione materiale per il pagamento di bollette e di passiva compilazione di verbali di assemblea, senza fornire alcun servizio di consulenza o di assistenza, che rappresentano prestazioni intellettuali di propulsione e indirizzo, tese all’ottenimento del migliore risultato possibile per il cliente.
In tal modo non si persegue il miglior risultato per il cliente, ma il proprio tornaconto, sfruttando le opportunità e le occasioni che derivano dalla necessità del cliente di affidare a terzi la
gestione economica degli immobili di proprietà.
Questo comportamento è contrario alla deontologia professionale, ma è agevolato da una situazione in cui l’utenza ignora la complessità e consistenza delle attività necessarie per una corretta gestione condominiale.
In un contesto di deregolamentazione così accentuata, è del tutto normale che gli onorari degli amministratori abbiano subito una continua riduzione, in una perversa spirale discendente che li ha portati a livelli del tutto inadeguati a fornire una redditività accettabile, con la ineluttabile necessità del sistema di aiutarsi con le tangenti.
Tutte le considerazioni sin qui esposte sui mali della nostra professione possono esserci utili alla luce delle novità introdotte dalla Legge 220/12 e dalla Legge 4/13.
Queste due norme hanno per la prima volta introdotto nel sistema cinque nuovi elementi, essenziali per dare al mercato forti strumenti di discriminazione tra tutti i soggetti operanti nel nostro settore :
– è stato introdotto l’obbligo di fornire il servizio secondo precisi parametri legali prima inesistenti;
– è stato chiarito che si tratta di un servizio di tipo professionale, con gli oneri e le responsabilità che questo comporta;
– sono stati introdotti i requisiti minimi che l’amministratore deve possedere, rammentando in particolar modo l’obbligo di tutela del consumatore, quale parte debole nel rapporto di gestione del condominio;
– è stato demandato alle associazioni ( di fatto per questioni di numeri, alla ANACI ) il compito di applicare sul mercato le nuove regole introdotte, demandando loro precise responsabilità di controllo sull’operato dell’amministratore;
– è stato introdotto il divieto per legge di pratiche illecite o di tipo corruttivo, specificando per la prima volta che l’assenza di comportamenti corruttivi è essenziale per un corretto espletamento del servizio.
Questi cinque elementi, sono importanti perché, se saranno applicati al nostro settore, consentiranno per la prima volta di affrancare l’amministratore di condominio italiano da un retaggio di malversazioni e pressapochismo che l’ha condotto alla difficile situazione attuale.
Tale normativa però permetterà ai professionisti immobiliari che vogliano assumersi le relative responsabilità, di vedersi riconosciuto un importante ruolo sociale, tutelando il consumatore, e diventando i veri e propri “medici condotti” delle abitazioni italiane.
Tali norme, se correttamente applicate, potranno favorire l’uscita dal mercato di tutti quegli operatori che oggi vivono in un sottobosco di scarso servizio e di connivenza costante con i fornitori, la cui presenza, di fatto, ci ha confinato tra i ”paria” dei professionisti.
Il legislatore ha dato al settore strumenti innovativi forti che, se opportunamente utilizzati, daranno alla categoria la possibilità di compiere un vero e proprio salto qualitativo, divenendo protagonista nel difficile compito di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, di riconversione energetica e strutturale, che possa risollevare le sorti di un’Italia continuamente al palo.
Una grandissima responsabilità è però nelle mani delle associazioni.
Se sapremo sfruttare quest’opportunità controllando in modo continuo il comportamento dei nostri iscritti, sia per il pieno rispetto dei contenuti minimi della erogazione del servizio, sia per la eliminazione della diffusa pratica di collaborazione corruttiva con i fornitori, potremo creare una nuova professione che porterà a tutti, condomini e amministratori, grandi vantaggi sia dal punto economico che di riconoscimento sociale del nostro ruolo.
Alla nuova dirigenza e ai giovani associati ora la scelta.
* Presidente Regionale ANACI Emilia Romagna